Marguerite and Armand, Milano, Maggio 2012

 

 

Era il 5 luglio 1977, al London Coliseum vidi per la prima volta "Marguerite and Armand" con il cast della creazione, Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev, anche se 14 anni dopo la prima il risultato, pur sconvolgente, era in qualche modo meno energico e più morbido.
Dopo 23 anni il balletto, sparito dalle scene con gli interpreti originari, venne annunciato alla ROH. Sperai che, come cast alternativo a Guillem-Le Riche, potessi vedere anche Roberto. Non dimenticavo che nel 2000 lui era venticinquenne come lo era Nureyev al debutto nel ruolo. Non fu così e applaudii la coppia francese. Quando li rividi a Parigi nel 2003 trovai tutto molto mitigato. Nel frattempo il balletto entrò in repertorio di tante compagnie e di tanti danzatori.
Finalmente l'attesa di 12 anni finisce stasera e sono presente al debutto di Roberto Bolle e Svetlana Zakharova. In che modo una coreografia diventa mitica? Legandola agli interpreti che l'hanno ispirata o moltiplicandone le letture per far emergere quelle più meritevoli? Stasera posso trovare una risposta a questo interrogativo.
Da Bologna riusciamo a partire in un bel gruppo grazie alla collaborazione del contingente milanese. Il tempo è magnifico e il viaggio procede speditamente. Entriamo nell'atrio e ci imbattiamo nei volti noti di critici e nello svolazzare dell'abito di Marta Marzotto. Saliamo ai nostri posti e inforchiamo i binocoli. Stiamo per vivere il nostro 250.o spettacolo con il Divino!

La musica di Liszt impone da subito un'atmosfera incalzante al balletto. C'è un'urgenza che marca l'ineluttabilità e lo scorrere del tempo, della vita, del sangue. Roberto entra in scena e gli serve una ventina di secondi per calarsi nel nucleo della vicenda. Da lì si lascia andare al turbine dei passi, così intrisi della potenza plastica della scuola russa: giri vorticosi in passé e in attitude, relevè in arabesque e alla seconda, salti aerei che forse solo nelle due revoltade hanno minor elevazione. E Marguerite? Difficile distogliere lo sguardo dal Divino quando è in un simile stato di grazia, ma l'affiatamento è perfetto, i sollevamenti fluidi, l'emozione intensa. Solo in due passaggi il ritmo rallenta: quando Armand sdraiato riceve il bacio d'addio di Marguerite e quando Marguerite cade spenta a terra dalle braccia di un Armand sgomento e piegato dalla fine dell'amata. Tra queste due scene c'è la mia parte preferita del balletto, quel crescendo di violenza, di frustrazione, di rabbia, di speranza descritti attraverso i gesti e i movimenti. Roberto indossa alla perfezione il costume nero di queste scene (ma dalla giacca gli sfugge anzitempo il denaro) e soprattutto è maestro nell'uso del mantello. Meravigliosa la corsa, sospinto dall'amore ritrovato, ancor più agghiacciante l'immobilità di lui inginocchiato alla fine.

Il pubblico, rimasto in assoluto silenzio, esplode al chiudersi del sipario. Le chiamate si prolungano per 8 minuti e il Divino è visibilmente soddisfatto, un po' meno noi che veniamo obbligati da una maschera a ritirare la nostra sorpresa dal parapetto del palco. Ma nemmeno questa angheria ci impedisce di commentare a caldo che vorremmo subito rivedere il balletto per riviverne ancora le emozioni regalateci da Roberto.
Segue il brevissimo "Concerto DSCH", un balletto con numerosi rimandi a frammenti di celeberrime coreografie russe intercalate a divertenti gag che usano il corpo di ballo non in modo compatto ma con ammiccamenti sbarazzini. Peccato che l'interpretazione degli scaligeri, a parte Sutera, non appaia notevole.
Rientriamo con la luna che illumina la strada e l'adrenalina che ci impedirà di prendere sonno. La risposta? Per me la coreografia di "Marguerite and Armand" merita di vivere, specie se a darle vita è questo intenso, vibrante, carismatico Roberto.

Susy

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