Manon, Londra, Novembre 2014

 

 

Sabato sera alla Royal Opera House di Londra era prevista una replica della Manon di MacMillan con un cast sulla carta di discreto interesse: Zenaida Yanowsky (Manon), Roberto Bolle (Des Grieux), Carlos Acosta (Lescaut), Laura Morera (Mistress) e Gary Avis (il carceriere). Dico qui che Acosta è stato un Lescaut assolutamente irresistibile e che la Morera è stata bravissima. Così Avis. E il corpo di ballo meraviglioso. Se si vuol vedere ballare MacMillan è qui che si deve venire. Punto.
Qualche premessa: Bolle tornava come guest del Royal Ballet dopo molti anni di assenza. Quello della Royal Opera House è un palcoscenico difficile: gli inglesi sono ballettomani competenti e severi, molto affezionati ai loro artisti, lui stesso ne sa qualcosa. Inoltre Bolle ha dovuto rinunciare all'ultimo alla sua prima recita di mercoledì a causa di problemi di salute che lo hanno costretto lontano dal teatro e dalle prove per qualche giorno, mettendo più che in forse la sua presenza sabato. La Yanowsky è una donna di un metro e ottanta circa e dal fisico piuttosto imponente. Questo fa di lei una donna bellissima, ma certamente una ballerina non facile per i partner, soprattutto in coreografie come Manon dove le prese sono molte e complesse. Il Principal del Royal Ballet che ha sostituito Bolle non ha probabilmente avuto tempo di perfezionare il partnering con la splendida Yanowsky. Il risultato è che, mi si dice, lei abbia finito la recita di mercoledì piegata su se stessa senza nemmeno poter camminare per ricevere i saluti finali a causa dei crampi ai polpacci, presumibilmente causati dalla tensione estrema accumulata nel corso del balletto. Insomma, come immaginate, uno sabato arrivava a teatro sperando che tutti ne uscissero interi.

E invece … e invece la Manon della Yanowsky – che io vedevo in questo ruolo per la prima volta – è stata meravigliosa: affascinante, conturbante, maliziosa fino all’inverosimile. La recitazione è stata eccelsa e mi ha consentito di apprezzare momenti anche di pantomima ai quali non avevo mai prestato attenzione. Se devo fare un appunto è che la Manon della Yanowsky è quella di una donna matura e perfettamente consapevole sin dalle prime battute. Manca insomma soprattutto all’inizio del primo atto la civetteria della Manon ragazzina, la maturazione graduale della consapevolezza del potere del suo fascino. Ma è un nulla di fronte alla bellezza del suo personaggio e all’intensità della sua immedesimazione.
Bolle si è presentato a Londra con una maturità artistica sicuramente inedita per l’audience londinese. Ci sono artisti che istintivamente si calano nei personaggi più intensi ed insidiosi per puro istinto sin da giovanissimi. Altri, spesso i più tecnici, traggono linfa artistica dalla maturazione personale. E dalla vita. Il Des Grieux di Bolle è oggi un Des Grieux che sicuramente si fa amare per le poetiche linee e la tecnica cristallina, ma soprattutto per il “verismo delle emozioni”. Bolle non è un interprete melodrammatico. Non può ontologicamente esserlo. Bolle interpreta le emozioni come le vivrebbe buona parte di noi nella vita reale, intensamente ma discretamente. E cura in maniera maniacale ogni istante in cui è sul palco, anche se le luci nemmeno lo illuminano e la scena è concentrata su un altro personaggio (se avrete occasione di vederlo in Onegin, osservatelo durante la scena del passo a due di Tatiana e del marito nel terzo atto e capirete ciò che voglio dire). Così quando incontra per la prima volta Manon dopo che lei lo ha abbandonato per accompagnare il ricco Monsieux G.M. che la ricopre di gioielli e vestiti preziosi, lui istintivamente abbassa lo sguardo, fa per girarsi ed andarsene, ma poi un fremito improvviso lo fa girare verso di lei. La guarda malinconicamente da lontano, poi di nuovo vede i suoi gioielli e ne prova ribrezzo. Ma poi… Ma poi Manon è Manon e la tragedia deve compiersi. 
I passi a due sono dei miracoli di linee, di armonia e di evidente feeling tra i due, e si crea quello che io chiamo “effetto spioncino” per cui il pubblico diventa un osservatore che spia dal buco della serratura. E così la variazione con cui Des Griex corteggia la riluttante Manon diventa poesia e, mentre tutti trattengono il fiato in religioso silenzio, verrebbe quasi da abbassare pudicamente lo sguardo. Ciò che Manon (s)fortunatamente non fa. Il resto è veloce discesa verso la tragedia. 
Il passo a due finale è da cardiopalma. Per tutta la durata del balletto il pubblico ha assistito a prese sicure ed ardite. Nel pas de deux del primo atto il metro e ottanta di Manon viene fatto volteggiare in aria a più di due metri d’altezza come fosse una piuma sostenuta dalle braccia perfettamente tese di Des Grieux, viene fatto roteare in aria velocissimamente con la sola rotazione dei polsi di lui e poi adagiata con grazia perfetta, senza che le punte si sentano mai a contatto con il palco (e tutto questo avrebbe dell’inverosimile anche in condizioni ordinarie, in quelle specifiche era semplicemente miracoloso). Lei era assolutamente a suo agio. Non dovendo preoccuparsi di non farsi male, poteva abbandonarsi completamente e immedesimarsi alla fine in Manon morente. Vedendola piegarsi su se stessa sul palco mentre correva disperata, ho temuto per un attimo che le gambe non la reggessero per davvero, e invece no. La sua Manon è la sola che io abbia visto che oltre al completo abbandono del busto e delle braccia a significare la spossatezza mortale a cui sta per arrendersi, riesce a rendere l’idea dell’assoluto abbandono di tutte le forze fisiche, gambe incluse. Le prese sono pennellate, magnifiche e … terrificanti. Bolle è un uomo di un metro e novanta, ma lei in punta lo supera. Eppure … eppure … la fiducia è ormai totale e nell’ultimo slancio lei si butta dall’alto tra le sue braccia come un corpo morto e finisce completamente esanime a testa in giù. Des Grieux, sfinito, la abbraccia e la adagia per terra al centro del palco e poi, in una scena straziante che da sola basterebbe a farci amare alla follia MacMillan, non rassegnandosi, Des Grieux cerca invano di farla alzare infilando la testa sotto il suo collo. Quando la testa di lei gli crolla tra le mani, capisce. E il sipario cala sul suo urlo muto.

Il pubblico è letteralmente impazzito. Urla, fischi di approvazione, applausi, delirio e infine i piedi battuti per terra a più riprese. Il fatto poi che gli artisti si commuovano fino alle lacrime mentre raccolgono le ovazioni dà la misura di ciò che anche loro hanno vissuto. Sabato, pubblico e artisti erano, anche su questo, in perfetta rarissima sincronia. 
So grateful I was there.

Ale

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