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Nozioni storiche dai quotidiani: Si tratta di una versione che Amedeo Amodio compose nella stagione 1986/87 per la compagnia Aterballetto, di cui era direttore: allora era sicuramente un lavoro più dirompente e innovativo, ma oggi conserva intatta tutta la drammaticità, la forza e l’eleganza. E non è solo merito della scelta musicale, la «sinfonia drammatica» di Berlioz anziché la più usata partitura omonima di Prokofiev, ma del lavoro drammaturgico. La drammaticità della musica, accentuata dalla voce recitante di Gabriella Bartolomei, trova sul palcoscenico la sua traduzione perfetta. Niente nutrici, preti, parate e pantomima. Via tutto. Restano Romeo e Giulietta, visti nei momenti salienti della loro storia: l’incontro, l’innamoramento, la morte. Attorno a loro una città piena di odio, materializzato nei continui duelli che sono scontri di spade ma anche di sentimenti. Una «storia di conflitti, interiori ed esteriori, più che d’amore» come scrisse allora Alfio Agostini. Una storia vera, concreta, che indulge al fantastico solo nel racconto di Mercuzio sulla Regina Mab, quasi a volere un ideale viatico da Shakespeare. La voce recitante porta parole, respiri, singhiozzi, mezze frasi che rimangono sospese e ricominciano all’infinito, spezzate come i pensieri turbinosi di due ragazzi emozionati al loro primo innamoramento e spaventati dalla prospettiva di dover combattere con le famiglie per poterlo vivere. La parola, che è pensiero a voce alta, sostituisce egregiamente la musica, tanto che nel primo passo a due neppure ci si accorge che la musica non c’è. Passa un brivido sulla schiena, tant’è forte la sensazione di leggere nel cuore di questi personaggi. La tragedia è dietro l'angolo, moriranno Mercuzio e poi Tebaldo, e Giulietta al loro funerale prenderà la decisione. Anche qui niente scorciatoie: lei si «butta», letteralmente, verso la morte apparente, senza i tentennamenti che la maggior parte delle coreografie di repertorio ci hanno sempre proposto, unica eccezione McMillan che ne fece un capolavoro di immobilità, con la paura della giovane tanto realistica da sentirla nostra. Amodio invece vuole una Giulietta decisa, e ce la fa vedere quando già ha messo in pratica il suo piano. Romeo sembra subire le decisioni dell’amata: è lei che «urla dentro» la gioia di averlo conosciuto, è lei che scende dal balcone ad incontrarlo, è sempre lei che disegna una strategia di fuga insieme. Romeo non vorrebbe combattere, non vuole neppure uccidere e inorridisce alle sue mani insanguinate, eppure la segue anche nella morte. (Daniela Bruna Adami per il quotidiano L'Arena) La particolarità di questo spettacolo, che si avvale delle strutture sceniche di Mario Ceroli e dei costumi della Spinatelli, sta nell' ideazione drammaturgica. La versione di Amodio della tragedia shakespeariana è infatti molto particolare. Molto personale. E certo il prestigioso curriculum artistico e le variegate e qualificanti realizzazioni teatrali permettono al coreografo milanese (attivo fin dagli anni Settanta e dal 1979 al '96 direttore artistico dell' Aterballetto) di ricercare e attuare modi inediti di espressione. Amodio, come precisa egli stesso, non ha dunque inteso raccontare la ben nota vicenda dei due amanti veronesi, bensì di evidenziare l'intima realtà psicologica dei principali personaggi, le motivazioni che li spingono ad agire. E di sottolineare i contrasti e la violenza - anche interiore - che li contrappongono mostrando così lo spaccato di una società in lotta che solo i costumi rendono antica, ma che riconosciamo simile alla presente. I duelli alla spada si iterano e susseguono (anche con una prode baldanza dovuta al Maestro d'armi Musumeci Greco). (Paola Bruna per il Gazzettino) I commenti dei Bollerini alle recite
veronesi: Le scarne scene in legno chiaro di Mario
Ceroli a riprodurre i palazzi della Verona Shakespeariana sono molto
belle, non distolgono l’attenzione dalla vicenda, ma aiutano il
coreografo a concentrare l’attenzione sull’animo dei protagonisti.
Non importa molto dove si fosse, la ricchezza del palazzo dove i due
innamorati si conobbero, il cielo sotto il quale si amarono nella famosa
scena del balcone. Ciò che conta è il loro pensiero e il loro cuore
che vengono narrati attraverso la voce di Gabriella Bartolomei che si
inserisce, prendendo il posto della musica, in numerosi momenti, a
partire dal primo incontro tra Giulietta e Romeo, dove la voce si
sofferma sulla sensazione che il tocco della mano di lui ha scatenato
nella giovane, o nei duelli, dove si odono pianti o scherni. Uno
strumento che poteva rivelarsi un genialissimo artificio o un mezzo di
distrazione. Personalmente l’ho trovato molto suggestivo nelle scene
di duello, ma estremamente fuori atmosfera nel primo incontro tra i due
innamorati e nella scena del balcone, dove i pensieri di Giulietta,
quattordicenne ancora bambina, vengono narrati da una voce sensualissima
che trasmette un erotismo che non appartiene alla Giulietta
Shakespeariana, tanto meno alla Giulietta del primo incontro con Romeo.
Occorre tuttavia rilevare che quella della Giuliani è una Giulietta
assolutamente personale, che nel primo atto è diversa in effetti dalle
Giuliette bambine. Gioca, forse discutibilmente, e forse calcando un
po’ troppo, già molto sulla malizia e sulla consapevolezza
dell’avere Romeo ai suoi piedi. E Romeo lo è in effetti.
Completamente rapito dal primo momento in cui la vede, quando Giulietta
è in scena, non distoglie mai il suo sguardo da lei, la testa si gira
continuamente a cercarla e ad ogni contatto il desiderio d’amore si fa
sempre più vivo. Il cortissimo taglio di capelli rende anche
visivamente l’immagine di un Romeo giovanissimo. Le coreografie di
Amodio non impensieriscono il danzatore che, nel primo atto, risalta, e
di molto, su tutto. I momenti in cui Bolle danza insieme ai seppur bravi
Bittencourt – Mercuzio – e Riga – Benvolio -, mettono in evidenza
la sua potenza, elasticità, destrezza e capacità di calamitare
l’attenzione. |
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